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Tre ore di botta e risposta tra gli avvocati della difesa e il Pm Caleca, in merito a nuove richieste dirito abbreviato e di patteggiamento per alcuni degli imputati – per lo più rigettate ma anche con riserva di valutazione da parte del collegio giudicante. Poi l’udienza di stamattina a Bologna del processo Black Monkey si è decisamente animata quando il principale imputato, Nicola “Rocco” Femia, ha chiesto di essere ascoltato per una “dichiarazione spontanea” di 34 pagine scritte a mano, che più volte il presidente della Corte, Michele Leoni, ha invitato a depositare agli atti del dibattimento.
Niente da fare, perché se da un lato nemmeno l’imputato e il suo difensore riuscivano ad accordarsi per convincere il collegio ad ascoltarne la lettura, dall’altro Femia ha tentato il tutto per tutto appellandosi persino alla presenza di numerosi studenti (una presenza mal sopportata nelle udienze precedenti dai suoi legali) per far loro “sapere – ha sostenuto – cosa è accaduto in 14 mesi di ingiustizie”. Quasi una supplica, quella del presunto boss, ritenuto dalle lunghe indagini della Dda bolognese che ha costruito l’impianto accusatorio a capo di un’organizzazione intenta nella gestione di gioco d’azzardo on line illegale e di traffico di slot machine truccate per frodare il fisco, tutto sotto il vincolo dell’associazione mafiosa. La Corte non cede sul memoriale: “Le cose che sta leggendo non sono inerenti al processo. Lei le può produrre e noi le leggeremo”, ha ripetuto più volte Leoni, mentre Femia alternava frasi pronunciate in modo scomposto e persino con la voce strozzata. “Io rispondo a una custodia cautelare per un giornalista”, ha detto, “Voglio dire come un giornalista ha organizzato un processo…”. Pur senza mai nominarlo, il riferimento è stato aGiovanni Tizian, dal novembre 2011 sotto scorta armata perché i magistrati la ritennero immediatamente necessaria dopo aver intercettato una telefonata proprio tra Femia e Guido Torello: quest’ultimo, anche lui imputato nel processo, affermò che a Tizian gli avrebbe “sparato in bocca” se non la faceva finita a scrivere di Femia. Questo l’audio dell’intercettazione:
“A me e ai miei figli (Nicola Rocco Maria e Guendalina, entrambi imputati e presenti in aula) – ha continuato Femia – non ci hanno mai messo a conoscenza di quello che hanno sequestrato, ma io sono un imprenditore e vi dimostro quanti milioni di euro ho dato allo Stato… Non sono mai stato condannato per 416bis, perché i giornali parlano di mafiosità…? Chi sbaglia deve pagare: sbaglia Femia paga Femia, sbaglia il giornalista paga il giornalista”.
E ancora attaccando Tizian, che è parte civile nel processo come del resto l’Ordine nazionale dei giornalisti, ha detto: “Cammina con la scorta, ma dove sono le minacce?”. E se per l’ennesima volta il presidente Leoni lo ha ammonito sul fatto che le dichiarazioni spontanee non devono costituire intralcio al dibattimento, Femia ha detto che il memoriale contiene denunce precise sui modi in cui sono state condotte le indagini, chiedendo perfino una “diffida per il giornalista che pubblica le notizie”. Ricordandogli che non spetta al tribunale tale valutazione ma alla Procura, Leoni ha infine rimandato alla prossima udienza, il 30 maggio, la sede in cui l’imputato potrà fare le sue dichiarazioni. Con quell’udienza si aprirà l’istruttoria vera e propria, con le prove testimoniali e l’esame degli imputati. Una lista nutrita, soprattutto quella della difesa, seppur oggi in parte sfoltita dopo le richieste del Pm.
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